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Alcune recenti pronunce della Cassazione offrono utili indicazioni interpretative per affrontare correttamente le problematiche che frequentemente emergono tra coeredi, quando, a seguito delle disparità di valore tra le attribuzioni patrimoniali effettuate dal de cuius, le parti intendano procedere a compensazioni o conguagli reciproci mediante un accordo volto a riequilibrare le rispettive posizioni ereditarie.
Di seguito, l’analisi completa a cura dell’avv. Matteo Molesti, partner di Elexia, avvocati & commercialisti, pubblicata anche da ItaliaOggi al seguente link.
Accordi tra eredi e divieto di patti successori: il perimetro tracciato dalle recenti pronunce della Cassazione
Alcune recenti pronunce della Suprema Corte offrono uno spunto per affrontare in modo consapevole e corretto la tematica che spesso sorge tra coeredi quando, per effetto delle disparità di valore delle disposizioni del de cuius, le parti intendano operare compensazioni o conguagli reciproci attraverso un accordo finalizzato a riequilibrare i rispettivi assetti.
L’accordo tra tutti gli eredi avente ad oggetto l’attribuzione di beni di diverso valore, ad esempio da parte del coniuge superstite in favore di tutti o alcuni dei figli, proprio al fine di compensare il valore dei cespiti ricevuti per atto inter vivos o in eredità dall’altro genitore defunto, potrebbe astrattamente rivestire profili di nullità stante il divieto dei patti successori ai sensi e per gli effetti dell’art. 458 cod. civ. che prevede la nullità delle convenzioni e degli atti con cui taluno dispone della propria successione o dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi.
Secondo la recente pronuncia Cass. civ., Sez. II, Ordinanza, 10/04/2025, n. 9397, al fine della configurazione di un patto successorio vietato, è necessario accertare se il vincolo giuridico abbia la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi a una successione non ancora aperta. Costituiscono invece atti validi i negozi nei quali l’evento morte del contraente non è causa dell’attribuzione.
L’art. 458 cod. civ. mira, infatti, a tutelare la libertà testamentaria fino alla morte del disponente ma, in considerazione della finalità del divieto, sono sottratti all’ambito applicativo della disposizione i negozi nei quali l’evento morte non è causa dell’attribuzione ma viene a incidere esclusivamente sull’efficacia dell’atto, il cui scopo in ultima analisi non è quello di regolare la futura successione.
Pertanto, l’atto mortis causa vietato, diverso dal testamento, è esclusivamente quello nel quale la morte incide non sul piano effettuale (ben potendo il decesso di uno dei contraenti fungere da termine o da condizione), ma sul piano causale, essendo diretto a regolare i rapporti che scaturiscono dalla morte del soggetto, senza produrre alcun effetto, neppure prodromico o preliminare fino a che il soggetto è in vita.
Dunque, l’atto mortis causa vietato investe rapporti e situazioni che si formano in via originaria con la morte del soggetto o che dall’evento morte traggono una loro autonoma qualificazione, mentre il negozio post mortem valido è destinato a regolare una situazione preesistente, in quanto l’attribuzione è attuale nella sua consistenza patrimoniale e non è limitata ai beni rimasti nel patrimonio del disponente al momento della morte (conformi: Cass. civ., Sez. II, 2 settembre 2020, n. 18198; Cass. civ., Sez. Un., 12 luglio 2019, n. 18831, ord.).
Ciò precisato, per risolvere positivamente, e in concreto, una fattispecie come quella descritta sopra, peraltro assai frequente, si pone in evidenza un’altra recente pronuncia della Suprema Corte, Cass. civ., Sez. II, Ordinanza, 09/01/2024, n. 722, che chiarisce, in tema di patti successori, che nell’atto mortis causa, rilevante agli effetti dell’art. 458 cod. civ., la morte deve incidere sia sull’oggetto della disposizione sia sul soggetto che ne beneficia: in relazione al primo profilo l’attribuzione deve concernere l’id quod superest, ed in relazione al secondo deve beneficiare un soggetto solo in quanto reputato ancora esistente al momento dell’apertura della successione.
Ne consegue che – precisa la Suprema Corte – l’impegno assunto da fratelli, d’intesa con i genitori, di procedere a forme di conguaglio o compensazione per la differenza di valore dei beni loro donati in vita dai genitori non viola il divieto di patti successori previsto dall’art. 458 cod. civ., in quanto non viene ad investire i diritti spettanti sulla futura successione mortis causa del genitore ed anzi non trova in quest’ultima il presupposto causale.
Alla luce di quanto sopra è possibile concludere per la validità di un accordo tra coeredi volto a compensare o riequilibrare le differenze di valore tra i beni precedentemente ricevuti per donazione o successione. L’efficacia di tale accordo, che preveda atti dispositivi o liberalità di una parte in favore delle altre, può eventualmente essere sottoposto alla condizione o al termine della morte del disponente purché i negozi ivi regolati non trovino la propria causa esclusiva proprio nella morte di quest’ultimo. Qualora infatti causa dell’accordo fosse l’evento morte del disponente, le parti andrebbero inevitabilmente a costituire, regolare, trasmettere o estinguere diritti legati alla sua successione, integrando patto successorio vietato dalla legge.
Avv. Matteo Molesti
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